ANNO 14 n° 118
Livingstone in salotto Siamo dei
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
06/04/2015 - 01:00

di Massimiliano Capo

VITERBO - La foto dei corpi straziati, a terra tra i banchi di una povera scuola, tra quegli arredi che ci sono così familiari fin dall’infanzia, racconta meglio di mille parole il massacro dei cristiani in Kenya e da forma plastica a cosa siano l’odio e l’orrore.

Squarcia il velo di chiacchiera e rumore che avvolge tutto quanto sta accadendo, e non da oggi, a poche ore di volo da noi.

Ridà spazio alla parola, quella invocata anche dal Papa.

Alla parola che ha la forza di trasformare le coscienze.

Perché quell’immagine parla. E parla alla nostra coscienza.

Ridà spazio alla parola, alle parole, che hanno la forza di dare un senso alla nostra vita terrena.

Sollecita la nostra capacità di ascoltare. Ci urla nelle orecchie e la sentiremmo anche laddove fossimo sordi e distratti.

C’è un bel libro che racconta il Novecento appena concluso come il secolo dei genocidi.

Andrebbe aggiornato solo il titolo.

E sarebbe la storia di questi primi quindici anni degli anni duemila.

In maniera meno eclatante di altri anni ormai lontani, gli uomini continuano a farsi la guerra e a uccidersi.

Continuano a violare i corpi dei più deboli, degli indifesi. Con la cinica certezza che questa sia la via della maggiore visibilità mediatica possibile.

Come ci hanno insegnato a recitare fin dalle elementari, cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia.

Nel tempo della impermanenza, della fine di ogni ideologia in grado di raccontare il mondo tutto intero, del crollo di ogni certezza, si continuano comunque a mietere vittime: non importa chi sia a morire, la relazione violenta sembra essere la cifra dei rapporti umani a tantissime delle latitudini del nostro globo.

C’è una pagine preziosa di Ernesto De Martino che ci richiama tutti a non dimenticare mai della nostra identità, del nostro punto di osservazione sul mondo.

E di osservarlo il mondo, senza dimenticare mai delle conquiste fatte e di quelle ancora da fare per dare piena dignità ad ogni uomo e ad ogni donna. Ad ogni bambino. Ad ogni essere vivente.

La pretesa di uno sguardo neutro, in cui assumiamo ogni volta i panni degli altri, non solo è impossibile ma inutile e pericoloso. Tende a giustificare ogni comportamento, assolve da ogni responsabilità.

E’ il regno terribile del ‘sì, però’. Perché c’è sempre un però a sottrarre forza vitale dalle nostre azioni.

Eppure, io mi sono svegliato stamattina chiedendomi invece che forma avesse l’amore.

O l’amicizia. O un’emozione.

Che è un po’ come chiedersi che forma ha la musica.

John Cage in una conferenza dedicata alla ‘Indeterminazione’ e più nello specifico al metodo compositivo indeterminato parla di musica come fosse l’amore.

A un certo punto scrive in relazione all’azione (composizione) sperimentale che la stessa è quella il cui esito non è previsto. E continua dicendo: “essendo imprevista, questa azione non è interessata al suo pretesto. L’esecuzione di una composizione indeterminata nell’esecuzione è per forza unica. Non può essere ripetuta. Quando viene eseguita una seconda volta, il risultato è diverso”.

Come non pensare al mistero di un incontro che assume d’improvviso il tratto della magia imprevista?

Come non pensare all’unicità di ogni sguardo, o sorriso, o bacio, dato e sognato?

Ecco, l’amore per me ha la forma e il colore della musica sperimentale; una struttura aperta che si colora degli occhi verdi azzurri e del sorriso bambino e felice della ragazzina dai capelli color del sole.

E poi boh, così tanto boh che c’è chi l’ha scritto proprio com’è questa storia della forma che non ha forma.

“Questa cosa che niente più vale la pena/di starci a pensare che poi tanto boh/A me non mi piace io credo che invece/il tempo è prezioso davvero un bel po’/Io quando ti guardo mi basta guardarti/e una bella notizia che porta allegria/non c’è un paragone non è che un milione/di altre notizie ti portano via.”

E poi: ''la filosofia non me l'ha ancora detto/come mai un casino/sembra un posto perfetto/come mai un difetto/rende bello un viso/come niente più del caos/può essere preciso/quanto abbiamo riso/e quanto rideremo/come in quella foto/che ho la faccia da scemo/quante notti svegli/a raccontarci storie/a cantare canzoni/cambiando parole/forse è tutto qui/che cosa vuoi che dica/forse è proprio questo/il bello della vita/poter dire un giorno/è stata una fatica/ma,/ma ti voglio un bene dell’anima''.

Lui è Jovanotti.

Noi abbiamo finito.

Buona Pasquetta e divertitevi tantissimo.





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